mercoledì 20 luglio 2011

Genova 20-07-2001. La vittoria della sconfitta



 da Claudio Benino il giorno mercoledì 20 luglio 2011

Genova 20-07-2001. La vittoria della sconfitta
Il permesso di uscita fuori orario che ho in mano dice che posso lasciare il posto di lavoro alle 4 di venerdì 20 luglio 2001. Il gancio con Andrea e Sara è fissato tre ore dopo, allle 7 in punto. Dopo i saluti mi butto sui sedili posteriori della Fiat di Sara che muove in destinazione Savona. Il viaggio è lungo e pesante, un po' per il sole che entra dai finestrini e disturba il mio sonno, un po' per la voglia di sboccare che mi sale sempre più strada facendo. Riesco comunque ad addormentarmi e riprendo conoscenza sulle note di Faccia a faccia dei Klasse Kriminale :"come in un film western faccia a faccia nelle strade, mentre gli sguardi si incrociano noi siam soli contro di loro, ma la loro oppressione ci dà ancora più la forza, polizia e ribelli sempre la solita storia".

Parcheggiata l'auto accanto alla stazione di Savona, ci informiamo per il primo treno in partenza per Genova, un bigliettaio particolarmente disponibile ci informa che la stazione di Brignole è chiusa causa G8, pertanto bisognerà scendere a Voltri e di lì svangarsela alla meglio.
Sul treno condividiamo lo scompartimento con un ragazzo di La Spezia, reduce da alcuni anni vissuti in quel di Madchester, che ci dà un quadro quantomeno sconcertante sulle sorti della working class britannica, ridotta a programmare la vita su scala settimanale, senza apparenti possibilità di vie d'uscita da questa situazione. Man mano che ci avviciniamo a destinazione, io inizio a sentir affiorare la mia proverbiale paranoia, allora  interrompo lo spezino e lo incalzo con una serie di domande inerenti i quartieri di Genova, per capire quanto sia concreto il rischio di essere bevuti dalle guardie fra i carruggi del centro storico. Lo spezino dice la sua e il mio livello di paranoia subisce un incremento di 20 punti.
A Brignole la situazione è assolutamente tranquilla: viavai di gente e assenza totale di madama. Di qui, grazie a un gancio di fortuna, saliamo su un autobus che ci porta ad una sorta di concentramento. La composizione dell'assembramento è molto variegata, ma assolutamente insoddisfacente per quelli che sono i nostri obiettivi di giornata: tra autonomisti valloni e gruppi terzointernazionalisti carichi di polvere, la vediamo molto dura e poco credibile un'invasione della zona rossa. Facciamo rifornimento idrico dai compagni del PCUS e poi ci muoviamo a piedi in direzione stadio Carlini. Durante il percorso incontriamo Lele che ci avvisa di fare attenzione, perché poco più avanti sono in corso scontri duri tra anarchici greci e polizia, che pare ci stia andando molto pesante.
Arrivati allo Zerbino abbiamo di fronte ai nostri occhi una visone dall'alto di quello che sta accadendo in città: una grande nuvola di fumo nero si alza verso l'azzurro cielo genovese di quella giornata; con un po' di circospezione scendiamo le scalinate che ci portano verso il fumo, in direzione corteo tute bianche. Lungo la strada si aggiungono a noi una coppia di ragazzi romani che sembrano una versione scaduta di Andreas Baader e Gudrum Ensslin. Al nostro quintetto si aggregano un funky boy con una capigliatura afro anni 70 molto cool ed un tizio con i capelli rossi ed il fisico logoro e consunto da vent'anni di punkabbestia londinese.
In zona piazza Manin c'è il presidio della lega ambiente. Una loro responsabile ci avvisa che è molto imprudente procedere oltre perché ci sono cariche della polizia ovunque e per la nostra sicurezza è opportuno rimanere li con loro. Dopo un brevissimo soviet decidiamo di procedere in direzione Casarini & co.: tutto sto sbattimento per un presidio di lega ambiente sarebbe veramente troppo poco. Avviso la signora che ci aveva messo in guardia che noi procediamo, la tipa mi riprende sul rischio che corriamo a proseguire. A questo punto perdo la pazienza e le dico:" senti fricchettona ecologista demmerda, io sono un punk 77 e faccio checcazzo voglio"; la nostra conversazione termina qui.
In piazza Giusti le tute nere si stanno dando da fare alla grande: auto in fiamme, banche sfondate e un supermarket saccheggiato; sembra proprio di essere nel finale di Quartoggiaro story di Gianfranco Manfredi. Ci guardiamo un attimo intorno. Sono tutti bardati e armati fino ai denti con spranghe, pietre, mazze da hockey e vari oggetti atti a offendere. Il soviet si riunisce ulteriormente in una plenaria d'urgenza per stabilire il da farsi: optiamo per toglierci di mezzo al più presto, perché la piazza è completamente devastata e ci sono fotografi che stanno scattando foto a nastro.
Imboccato il tunnel della ferrovia intravediamo un gruppo di divise blu all'orizzonte. La mia soglia di paranoia supera il livello di sicurezza e scatta l'allarme rosso. Inizia una discussione concitata con Andrea e Sara che insistono per proseguire ugualmente verso la sbirraglia, in quanto sono tutti tranquilli e non hanno nemmeno i caschi in testa. Io gli faccio presente che siamo in un tunnel e se, casomai, partisse una carica saremmo sicuramente fatti, perché ci ritroveremmo in mezzo a due fuochi. L'ostinazione della coppia rebelde prevale e quindi si procede verso gli sbirri. Sbucati fuori dal tunnel, in via Tolemaide, anch'io sono più tranquillo perché sembra tutto a posto, sulla nostra sinistra c'è un bar aperto, decidiamo di entrarci per mangiare qualcosa. All'interno del bar il gruppo con i romani, il punk e il cool boy si divide: alcuni restano ed invece io ed i miei compagni cuneesi ci incamminiamo verso la nostra meta. Ormai è tardi ed il corteo sarà già partito, ma noi lo raggiungeremo lungo il percorso.
Dopo pochi metri uno sbirro ci affianca e, agitandoci il manganello di fronte al viso, ci invita a seguirlo. Il soviet è spiazzato, non c'è tempo per un'altra riunione, altri colleghi giungono in rinforzo sul posto, uno di loro prende Andrea alle spalle all'altezza del collo e "lo invita a seguirlo". La tensione è a mille, non c'è tempo per pensare, una voce dentro mi grida di scappare, ma quello che si sono appena bevuti è mio fratello ed io non ce la faccio ad andarmene. Quando ritorno in me la situazione sta già evolvendo, io mi sento afferrato per un braccio mentre vedo Sara che a sua volta è stata immobilizzata. Finiamo dietro dei container di metallo rossi, vedo alcuni ragazzi seduti a terra con la testa bassa e le mani legate dietro la schiena con una fascetta. Un celerino particolarmente ligio al suo lavoro, mi sbatte contro uno dei container schiacciandomi il viso contro la lamiera arrugginita, cerco di resistere alla pressione mentre la madama mi dice:" devi stare scomodo zecca comunista di merda, puzzi, puzzi come tutte le zecche come te". Riprovo un tentativo per uscire da questa situazione dicendogli che io non ho fatto niente, che loro mi hanno preso mentre uscivo da un bar. Lo sbirro spazientito mi butta a terra supino e mi lega le mani dietro la schiena con le fascette, da questa posizione mi toglie gli occhiali, me li poggia a terra di fronte al viso e con i suoi anfibi li schiaccia ripetutamente fino a sbriciolarli. Gli faccio presente che sono degli occhiali da vista, in tutta risposta il bastardo mi appoggia il manganello sul naso dicendomi che se avessi ancora aperto la bocca o mosso qualsiasi parte del corpo mi avrebbe spaccato la testa; vista la situazione opto per il silenzio e l'immobilismo. Dopo alcuni minuti vengo sollevato e messo a sedere appoggiato ad uno dei container, più in la intravedo Andrea e Sara con la testa bassa e i musi lunghi di chi non sta vivendo un bel momento. Accanto a me un ragazzo dallo spiccato accento toscano, grida qualcosa in faccia alle guardie che lo prendono e lo fanno sparire.
Un paio di sbirri mi prendono per le braccia e mi trascinano a terra fino al gruppo di arrestati dove ci sono i miei compagni di viaggio, tento di scambiare due parole con mio fratello, ma una madama mi ficca un calcio sulla cervicale dicendomi: "devi sta' zitto zecca comunista". Mi guardo intorno per cercare di fare il quadro della situazione, anche se non è semplice perché appena provo a muovermi prendo le botte; fotte un cazzo come ho detto all'ecologista sono un punk 77 e faccio checazzo voglio. Accanto a me c'è un ragazzino di Legambiente, avrà si e no un sedici anni, ha un labbro completamente spaccato da una manganellata più altri segni sul viso, mi guarda e mi dice:" tutta colpa degli anarchici", io accenno un sorriso, lui riparte"ma tu sei anarchico?" percepisco l'adrenalina che sale attraverso le protesi falliche dei poliziotti che sono pronti a darmene una bella scarica e quindi rispondo: "no io non sono niente". Avverto l'energia malefica della sbirraglia alle mie spalle che rientra su valori sotto controllo. A qualche metro sulla destra intravedo un uomo sulla trentina veramente malconcio, col viso completamente tumefatto, l'abito stracciato e un forte dolore ai polsi per le fascette troppo strette. Il tipo dice di essere un giornalista, che non stava facendo nulla di male, le guardie gli spiegano che si trova in quella situazione perché è sprovvisto di pass. Gli altri del gruppo mi sembrano più o meno a posto, in quanto non presentano ferite particolarmente brutte. Dopo una conta risultiamo essere diciassette arrestati, uno dei poliziotti si rivolge ad un superiore: "dottore il diciassette porta male, vuole che ne prendiamo ancora uno?". La rabbia mi sale dentro: “bastardi, bastardi voi e  il lavoro di merda che state facendo”, penso in questo momento.
Trascorsa circa una mezzora scatta l'allarme tra le file delle forze del male con la divisa blu: "stanno arrivando" sono le due parole che rimbalzano tra i guerrieri dell'impero oscuro, alcuni di loro celebrano il momento affermando che: "è tutta la vita che aspetto questo giorno!". Sentiamo movimenti alle nostre spalle e intravediamo gli scarponi che si dirigono verso la strada, al di là dei container. La battaglia inizia pochi minuti dopo, si sentono gli spari dei primi lacrimogeni, manganelli battuti sugli scudi e caricaaa...la situazione si fa presto difficile per la madama, alcuni di loro corrono verso di noi chiedendo rinforzi, contro i container si sente sbattere di tutto, sentiamo i compagni che stanno fronteggiano gli sbirri a pochi metri da noi. Un sorriso affiora sui nostri volti, scambio uno sguardo con Andrea: "cazzo ci liberano!" mi dice sottovoce " e per i documenti e tutto il resto?" ribatto io, "cazzo te ne frega! se sfondano ci alziamo tutti insieme e teliamo", Sara annuisce con un cenno del capo. Il soviet ha stabilito la strategia da utilizzare. Purtroppo i nostri sogni di gloria vanificano in breve tempo sotto un fitto lancio di lacrimogeni che disperde gli insorti di via Tolemaide; per ora siamo ancora ostaggi dell'impero del male.
Rientrate nelle retrovie le truppe della polizia notiamo, con nostra inevitabile soddisfazione, che alcuni di loro sono accasciati su se stessi per le mazzate prese durante gli scontri. Al gruppo di arrestati si aggiungono alte due persone: un ragazzo delle tute bianche preso durante gli scontri e uno skin romano ubriaco marcio che stava passeggiando tranquillamente per la città; è quest'ultimo che tiene subito banco con la madama. Il working class boy inveisce con insulti in un romano scaciatissimo contro gli sbirri, che rispondono per le rime prendendolo a calci ripetutamente. La buona dose di alcool in corpo permette tuttavia al nostro rude boy di continuare con il miglior repertorio della sud contro le forze dell'ordine. Le guardie indispettite e frustrate di fronte a tanta irriverenza non sanno far altro che sollevarlo, ammanettarlo dietro la schiena e sbatterlo a terra violentemente. A questo punto anche il guerriero romano è vinto e le lacrime che scendono dai suoi occhi sono accompagnate da una frase molto eloquente sulla situazione: “bastardo m'hai spaccato i polsi”.
Col trascorrere delle ore si spengono tutti i focolai di battaglia ancora rimasti in zona, tutte le truppe del male rientrano e si procede con il trasporto degli arrestati. A questo punto io vengo diviso da Andrea e Sara, per quel che mi riguarda il soviet è completamente disintegrato, d'ora in avanti farò riferimento, nel più genuino spirito individualista, a Bresci e Ravachol per quel che concerne le mie decisioni sul da farsi. Mi caricano su una volante insieme ad un ragazzino genovese che dice di essere figlio di un avvocato. Il collega seduto accanto all'autista smorza immediatamente la nostra conversazione promettendoci una bella ripassata on the road, se avessimo continuato a parlare; la mia attitudine punk 77 è molto ridimensionata in questo momento.
L'auto svolta a destra ed entriamo in un grosso cortile di quella che sembra essere una caserma della polizia. C'è molto movimento nel parcheggio, viavai di agenti in divisa ed in borghese, ragazzi e ragazze scaricati da volanti e cellulari. Appena scendo dall'auto trascinato per il collo dall'agente, matura in me la ferma convinzione che oggi prenderò le botte dagli sbirri, è una sensazione palpabile che aleggia nell'aria e può verificarsi in qualsiasi momento. Sin da subito mi rendo conto che sono negate le più elementari forme di comunicazione. Appena varcata la soglia della caserma ho di fronte un lungo corridoio con una serie di camere di sicurezza ai lati. Provo a chiedere informazioni sui miei compagni del soviet, ma vengo redarguito con uno schiaffone accompagnato da una frase molto esaustiva che non lascia obiezioni: “devi stare zitto pezzo di merda e guarda in basso”; il gesto del pulotto trova il consenso dei suoi colleghi che sorridono divertiti, mi spingono, insultano e sgambettano, mentre vengo portato nella camera di sicurezza. Qui, con le fascette ancora ai polsi, vengo lasciato in consegna ad un agente in borghese che mi cambia le fascette con le sue manette d'ordinanza: sempre mani legate dietro la schiena. Mi ordina di stare faccia al muro, obbedisco senza obiezioni e mi rendo conto che tutti gli altri componenti della cella versano nelle mie stesse condizioni. Pochi minuti dopo entra un medico che chiede di visitarci, io rifiuto categoricamente pensando che se mi diagnostica escoriazioni o percosse, mi becco di fisso una denuncia per oltraggio e resistenza per giustificare le botte che mi hanno dato.
Il poliziotto in borghese mi prende all'interno del gomito sinistro e mi gira di scatto: “forza muoviti e non rompere i coglioni”. Esco dalla camera, ripasso il corridoio venendo nuovamente sottomesso al trattamento che avevo avuto all'ingresso. Uscito nel cortile, sempre scortato dal borghese, entro in un'altra stanza dove mi prendono le impronte digitali, mi fanno la foto all'iride e quelle segnaletiche; dentro di me scatta un sorriso pensando all'aspetto molto punk che devo avere in quelle fotografie. Identificazione ultimata, il digos mi riporta all'interno della caserma col solito passaggio nel corridoio e mi piazza in una camera di sicurezza con altri ragazzi. Qui ritrovo il toscano del primo pomeriggio, abbastanza malconcio ma di buon umore. Scambiamo due parole insieme sull'accaduto esprimendo entrambi stupore per quanto sta succedendo. Un agente si accorge che ci siamo seduti in terra e immediatamente sventola il manganello intimandoci di andare contro il muro con le mani dietro la schiena; obbediamo senza commenti. Il tempo trascorre lentissimo, guardando fuori dall'inferriata vedo che il sole sta tramontando, “saranno le 21” penso dentro di me, “qui rischiamo di farci la nottata in piedi con sti stronzi che ci gridano dietro”. Il borghese che mi ha preso in carico mi preleva un'altra volta e mi porta in una sorta di ufficio dove ci sono due funzionari indaffarati in mezzo a mille scartoffie. Uno dei due parte a raffica: “dove ti hanno preso?”, “che hai fatto?”. Io rispondo che non ho fatto niente e cerco di spiegare come sono andati i fatti. “Cazzate! Se non avevi fatto niente non stavi qua”. Mi rendo conto che ogni tentativo di spiegazione è vano e serve solo a prendere qualche schiaffo in più. Osservo i due funzionari che perquisiscono il mio zainetto e il mio portafogli, dopodiché quello che deve essere il capo ordina al mio controllore di riportarmi in cella. Mentre ripasso per l'ennesima volta nel corridoio intravedo Sara seduta a terra in una camera di sicurezza con altre ragazze, la saluto, becco uno schiaffo, ma questo scambio di battute, benché misero, è una botta di vita in questo posto allucinante. Torno in cella e penso che forse ho fatto una cazzata: dormire due ore per venire a Genova a farsi arrestare in questo modo. La mia indole 77 ha un sussulto e mi manda a dire che ho fatto quel che era giusto fare, perché quelli come me fanno checcazzo vogliono sempre. Accenno un sorriso di consenso alla mia parte nichilista e aspetto più tranquillo il trascorrere delle ore.
Dopo qualche decina di minuti torna il mio poliziotto custode che esordisce dicendomi: “t'è andata bene Cla, ti mandiamo a casa”. Una sensazione di gioia mista a sollievo attraversa il mio corpo, mentre mi concedo per l'ultima volta agli schiaffeggiatori del corridoio. Tornato nella stanza delle mille scartoffie mi buttano sotto gli occhi un verbale, dove c'è scritto che sono stato trattenuto per accertamenti. Il poliziotto mi intima lapidario: “firma qua sotto!”. L'impulso è quello di non firmare, ma poi prevale il buon senso e l'istinto di autoconservazione, perciò impugno la penna e siglo il documento. Da questo momento sono di nuovo un uomo libero, chiedo ai funzionari delle scartoffie dove sono zaino e portafogli e scopro che sono depositati in fondo al corridoio. “Cazzo!” esclamo dentro di me, “un'altra volta sto passaggio”. Riparto incurante del trattamento e giungo senza troppi problemi al mucchio di bagagli ammassati a terra. Inizio a rovistare alla ricerca del mio zaino che non si trova, mentre un agente inizia a spazientirsi e mi intima di “togliermi dai coglioni velocemente”, cerco di spiegare il mio problema, l'uomo in blu non sente ragioni e a questo punto si incazza davvero: “vai contro il muro!”, cerco di ribattere: “agente sto soltanto cercando il mio zaino, non riesco a trovarlo”, lo sbirro mi colpisce con un forte colpo alla schiena: “t'ho detto vai contro il muro pezzo di merda!”. Preso dallo sconforto più totale obbedisco e riprendo la consueta posizione faccia al muro e mani dietro la schiena. Cerco di chiedere spiegazioni, ma ricevo solo percosse all'altezza della cervicale. Un qualcuno che non riesco ad identificare mi si avvicina ad un orecchio e mi dice:” te la faccio passare io la voglia di andare alle manifestazioni, brutto comunista di merda. Grida viva il duce!”, “cosa ?” ribatto io tra il sorpreso e l'impaurito, “t'ho detto grida viva il duce!”, obbedisco sperando così di calmare la situazione. I minuti passano, io resto contro il muro mentre tra le mani ho il mio verbale di rilascio. Mi sale un grande scoramento, perché a turno e di sorpresa prendo le botte sulla schiena e sul collo, sono faccia al muro perciò non le vedo partire e nemmeno vedo i volti di questi eroi. Al grido di viva il duce si aggiunge quello di dedica alla polizia: “viva la polizia italiana e la polizia penitenziaria perché sono i migliori”. Sono costretto a ripetere questa cazzata per una serie infinita di volte e intanto continuano ad arrivare le botte alle spalle. L'angoscia è totale, sono completamente disarmato e privo di qualsiasi idea per uscire da questa situazione. Tento una prova di forza voltandomi, ma mi becco immediatamente una manganellata all'altezza del costato. Fortunatamente il bastone mi ha preso di striscio, ma io accentuo il tutto con grida di dolore, gli sbirri non si impietosiscono neanche un po' e, al contrario, mi risbattono al muro e mi ficcano una bella dose di manate altezza cervicale. Quando ormai penso sia tutto perduto sento la mano del mio digos controllore che voltandomi mi chiede stupito: “che ci fai ancora qui tu?”, “stavo cercando lo zaino” rispondo con le lacrime agli occhi. Il digos mi prende e mi accompagna all'uscita della caserma, senza zaino, senza soldi, senza occhiali, con solo la carta d'identità. “ciao Cla! Ci vediamo domani al corteo”.
Appena mi molla corro lungo la strada senza mai voltarmi, mi vengono in mente Sara e Andrea che probabilmente sono ancora la dentro, ma sto troppo male, non riesco a fare altro che correre piangendo. Dopo alcuni isolati trovo una fontana dove bevo e mi lavo la faccia. Sono nel cuore della notte in un qualche posto a Genova, senza sapere dove andare, col terrore di incontrare guardie assatanate a menare. A pochi metri da me vedo una serie di auto incolonnate ad un semaforo, ne affianco una che ha il finestrino abbassato: “scusa mi sai indicare la strada per una stazione ferroviaria?”, il tizio alla guida mi guarda come fossi un marziano e mi indica la strada per Pontedecimo. L'itinerario è molto semplice, procedo sempre dritto sulla strada finché non mi appare il paesino di fronte agli occhi. Ho un freddo bastardo, perché addosso ho solo una maglietta stracciata e rovinata dal trattamento ricevuto in giornata. Opto per trascorrere il resto della notte in stazione, appena varco la soglia della sala d'aspetto mi trovo due homeless che mi guardano scapigliati; cerco di tranquillizzarli : “buonasera, non sono di qua e ho avuto una giornataccia, vorrei dormire qui”. I due assonnati prestano poca attenzione e presto si disinteressano a me. Ho un sonno disturbato e incostante, alle prime luci dell'alba mi attivo per prendere un treno. Trovo un super localaccio per una stazione inculatissima e sconosciuta. Indeciso sul da farsi chiedo informazioni ad un muratore che sta aspettando i suoi compagni per andare al lavoro, il ragazzo mi dà il gancio per un autobus che mi porta a Voltri. Nelle sale d'aspetto della stazione provo a buttare un occhio per vedere se trovo qualche superstite del soviet, macché! Buio totale sotto questo punto di vista. Salgo sul primo treno per Savona e tiro un sospiro di sollievo; l'incubo è finito

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